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UNE FLAMME DANS MON COEUR Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 gennaio 1988
 
di Alain Tanner, con Myriam Mezières, Aziz Kabhouche, Benoit Régent (Svizzera, 1987)
 
Girato in bianco e nero, con una squadra ridottissima, con una disponibilità totale nei confronti del personaggio e dell'autore del film, la generosa ma anche invadente Myriam Mézières, UNE FLAMME DANS MON COEUR testimonia dell'entusiasmo rinnovato di uno dei nostri maggiori cineasti. Che sapevamo grande, ma temevamo stanco.

Il film è di quelli, assoluti come la protagonista e la storia si vorrebbero, ai quali si dovrebbe aderire incondizionatamente, riconoscendogli quei caratteri di ricerca e d'emozione che mancano alla stragrande maggioranza della produzione corrente. Confesso invece che la mia irritazione, visionando una seconda volta il film dopo la presentazione a Locarno, è certamente pari alla mia ammirazione.

Ciò dipende, probabilmente, da più fattori. Il primo é che il film è il risultato, quasi sovrapposto, di due apporti: quello di Tanner e quello della sceneggiatrice/protagonista. È troppo facile dire che l'irritazione proviene dall'apporto di quest'ultima. Poiché senza la presenza, narcisistica ma anche generosa di Mercedès, questo ritratto di donna, questa descrizione dei difficili confini che separano - nella passione - la ragione dalla follia, non avrebbe mai visto la luce.

Ma è anche vero che, a forza di volerci convincere ad ogni costo della sua tesi, la nostra Mercedès, più che una vittima o un'illuminata alla ricerca dell'assoluto, finisce col sembrarci una tragica rompiscatole. Dalla quale restare soprattutto alla larga.

Ciò non era sicuramente nelle intenzioni del regista: che filma, sovente con sensibilità raffinata, molti dei difficili passaggi del film. Una scena di seduzione sul métro, tutta giocata sugli sguardi; la violenza contraddittoria del rapporto amoroso, o gli sguardi smarriti degli immigrati allo sex-show.

Per altri versi, lo sguardo dell'autore di CHARLES MORT OU VIF sembra essersi appesantito. Privato, più o meno coscientemente, di quell'humour sottile, di quella vaghezza , dei sentimenti come delle geografie, che lo rendevano inconfondibile mentre divagava sui suoi " milieux du monde ".

Qui gli si riconosce, oltre che al coraggio della provocazione, quello di un entusiasmo che non si sa se definire giovanile oppure ingenuo. Ma quando ci trascina, con Mercedès e lo scimmione, nella gabbia del pornoshow di Barbès ci sembra allora veramente un po' troppo convinto della propria dimostrazione.

E ci è difficile non rimpiangere i dubbi e le esitazioni di un Jonas post-sessantottino per le certezze di Mercedès che si accompagna allo scimmione (di stoffa, per carità!).


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